Pensieri personali

Ricordo di Alberto Sordi

Ho conosciuto “Albertone” alla fine degli anni ’80 in RAI, nell’ufficio dell’allora capo struttura di Rai 1 per la fiction, Giancarlo Governi. Cominciammo a parlare e poi, un po’ per la simpatia, un po’ per il feeling nato tra noi, un po’ perche avevamo il piacere di continuare a conoscerci, ci trasferimmo in un ristorante vicino a Viale Mazzini dove per un paio d’ore, tra un piatto di zite e un buon bicchiere di vino rosso, abbiamo parlato di tutto.
La cosa singolare, naturalmente non prevista, è che, chiacchierando del più e del meno, a conclusione della nostra colazione di lavoro e come una naturale evoluzione dei ragionamenti fatti, Giancarlo Governi, da quel bravo programmista che è sempre stato, se ne uscì con una proposta di programma alla quale immediatamente sia Alberto che io aderimmo con entusiasmo. Così nacque per me la prima occasione di lavoro con Alberto Sordi e cioè un programma per RAI1 di prima serata “La prima volta di Alberto Sordi”, un racconto tra documentari e fiction che raccontava come Sordi fece il suo primo film da attore ( “Mamma mia che impressione”) nel contesto della Roma cinematografica e dell’Italia della ricostruzione in quell’epoca. Ne uscì un programma nuovo per il suo genere, di grande fascino che, rivisto oggi, sicuramente serve a comporre l’icona artistica di Alberto in modo realistico, grazie soprattutto alla sua auto-presentazione.
Mi auguro che la Rai voglia rimetterlo in onda e magari riprendere quella serie, “La prima volta di…”, una formula accattivante e avvincente per raccontare le prime esperienze cinematografiche, teatrali, etc dei grandi protagonisti dello spettacolo.
Ho poi realizzato un altro programma con Sordi: il dietro le quinte della produzione del film “L’avaro”, per la regia di Tonino Cervi. Anche questa è stata un’esperienza straordinaria. Qui ho potuto constatare personalmente il modo di porgersi dell’attore Sordi sul set di un film e l’imbarazzo continuo che condizionava i registi laddove, dovendo rifare una scena, la stessa veniva ogni volta sostanzialmente modificata dai dialoghi e dall’espressione che lui assumeva. Ecco perché anch’io sono convinto che Sordi, oltre ad essere attore, era anche certamente autore e quindi partecipava attivamente a definire i contenuti dei suoi film.
Ho incontrato altre volte Alberto in diverse occasioni, ma ciò che mi rimane più nella memoria è stata una colazione a casa di Rodolfo Sonego, sempre insieme all’immancabile GC Governi, dove per quasi un pomeriggio, ascoltando i loro racconti e le decine di aneddoti sul loro grandioso sodalizio artistico, ho avuto, uscendone, la netta sensazione di aver imparato finalmente la vera storia del cinema italiano e soprattutto di aver percepito il valore professionale, artistico e umano di questi due grandi protagonisti: Sordi e Sonego.
Mi ritengo fortunato di questa conoscenza perché grazie alle situazioni “informali e familiari” in cui ho incontrato Alberto, ho potuto apprezzare di lui il modo d’essere uomo, cittadino, amico, oltre a quello di personaggio. Un’immagine bella, di grande simpatia, sottolineata anche da “attenzioni” verso gli altri presenti, che normalmente non riscontro negli atteggiamenti della stragrande maggioranza di quanti sono personaggi di successo.
Mi piace anche ricordare il suo modo di partecipare alle occasioni informali tra amici: era sempre pronto a riprendere la battuta di un altro, senza soverchieria, ascoltando e parlando solo quando era naturale intervenire. Ricordo un aneddoto che ha raccontato più volte e che assicurava di aver personalmente vissuto, a giustificazione del fatto che non gli piacessero i funghi. Raccontava infatti che, avendo partecipato ad una scampagnata (“na’ magnata fuori porta”) con amici dalle parti di Viterbo, aveva, unico commensale, rifiutato di mangiare le fettuccine con i funghi, in quanto “non se sa mai, potrebbero esse velenosi”. Al ritorno verso Roma incrociarono un funerale lungo la Flaminia, con quattro defunti; alla domanda “che è successo??”, la risposta fu “hanno mangiato funghi avvelenati”.
Era un piacere ascoltare questi suoi racconti, e al sentirli dire da lui mi veniva spontaneo scavare nella memoria per verificare se li avessi già sentiti in una delle sue battute al cinema.
Sono contento di aver conosciuto Alberto Sordi, un protagonista della storia dello spettacolo d’Italia, un personaggio che, grazie al cinema, rimarrà una forte icona della memoria condivisa del nostro paese.
CIAO ALBERTO

Lettera ai genitori di Raffaele

Ho letto su un quotidiano milanese del 25 gennaio una spiacevole notizia che mi ha rattristato…
Ho letto di una coppia di persone (vorrei poterli chiamare ancora “genitori”) che hanno abbandonato all’ospedale San Raffaele di Milano il loro neonato, rivelatosi afflitto da una rara malattia che lo avrebbe privato per sempre della vista.
Ho provato molta amarezza di fronte a questa lettura, di fronte alla paura e all’inconsapevolezza che determina certi gesti e certe rinunce, e di fronte a una storia di mala informazione e cattiva educazione civica e culturale come questa.
Ho provato anche a capire, però, a ripercorrere mentalmente le tappe di una vicenda che avrebbe dovuto recare gioia e che invece si è conclusa con tanto dolore.
Ho immaginato l’attesa del lieto evento, l’emozione che eccita ed esalta i sogni di tutti coloro che si apprestano a diventare “genitori”: sicuramente avete riempito i vostri dialoghi di grandi progetti per il futuro del piccolo, forse avete anche litigato su cosa sarebbe diventato da grande, se un pilota di jet o il calciatore più pagato del mondo.
Sono progetti che tutti i genitori fanno, progetti in cui il bambino, prima ancora di nascere, diventa l’erede dei sogni e delle illusioni, ma anche dei rimpianti e delle frustrazioni paterne e materne, lo sfogo e il riscatto dei disinganni di una vita.
Sono sogni belli e normali, sono quelli che devono essere accaduti anche a voi.
Ed ecco che finalmente arriva il lieto giorno: e tutto va bene, e si stringono le mani e si abbracciano i medici che hanno assistito il parto.
Ma poi, qualche istante dopo, il mondo si oscura!
Una grande eclisse profonda deve aver oscurato la vostra esistenza…
Vi siete sentiti venir meno quando l’illustre professore così caldamente abbracciato vi ha annunciato la triste notizia che mai avreste pensato di ricevere: Raffaele, qual bambino così bello, così perfetto nelle sue forme, così vostro, così sano,… il ritratto della salute e della bellezza… non vede!
La natura e il Buon Dio si sono presi gioco di lui e dei vostri sogni, e hanno gravato il piccolo Raffaele di un peso che non sarà possibile cancellare per tutta la vita: vivere senza vedere la luce, la bellezza e la bruttezza del mondo, il volto di mamma e papà.
Lo so, è un brutto colpo…
Lo ammetto: è molto faticoso vivere senza poter guardare negli occhi chi ti parla, senza poter correre a piedi da soli nelle strade trafficate, o segnare un bel goal di testa nella partitella con gli amici, o raggiungere da soli un bel bosco sulle Dolomiti e isolarcisi per qualche tempo.
Certo, queste sono cose importanti… ma vi prego di credermi: la macchina umana riesce ampiamente a compensare queste mancanze e a riscoprire se stessa.
Convivo con la cecità assoluta dall’età di dieci anni e posso assicurarvi che non sono una persona infelice, che non mi sento diverso. Credo di essere riuscito a fare tutto quello che ho deciso di fare, senza privarmi di nulla, e di considerare la mancanza della vista una caratteristica della mia dimensione fisica, come l’altezza, il colore della pelle, le dimensioni del naso.
Mi sono laureato, mi occupo di televisione, frequento la politica, amministro aziende, viaggio da solo, leggo i giornali.
Sono figlio di un artigiano di questo nostro paese e so bene quanti sacrifici i miei genitori dovuto fare per me. Non erano ricchi ma hanno saputo usare a piene mani l’unico patrimonio che non si può custodire in banca: l’affetto, con il suo seguito di bontà, intelligenza, fiducia nella vita e nella società. E sono riusciti a fare molto di più: sono riusciti ad insegnarmeli e a trasmettermeli. Ad infondermi quella fiducia, quella determinazione e quell’autostima che mi hanno reso possibile essere oggi quello sono voluto diventare.
E forse è questo che voi avreste dovuto insegnare a Raffaele, che avreste dovuto donargli…
Se lo avete messo al mondo perché diventasse un pilota o un goleador… allora capisco il vostro gesto. Ma se vi basta che diventi un uomo sereno, felice e in grado di dare qualcosa alla società e anche ai suoi genitori… bé, allora ripensateci.
E forse potrete recuperare qualcosa dentro al vostro grande egoismo: quella piccolissima speranza e fiducia, che sono la scintilla necessaria per alimentare i grandi sogni della vita.